Un contatto di Porte Aperte in Asia centrale ha recentemente segnalato un caso di persecuzione digitale.
In un paese della regione – che non nomineremo per motivi di sicurezza – le attività religiose svolte in rete sono finite sotto osservazione, incluso il monitoraggio dei profili social e dei post condivisi dai cristiani locali.
È di giugno la notizia della convocazione di alcuni cristiani da parte della polizia segreta, indagati per la creazione di un gruppo su Whatsapp. “Questo gruppo invita le persone ad abbandonare la propria religione [l’islam] e a convertirsi al cristianesimo” l’accusa, sostenendo che il gruppo criticasse l’islam incoraggiando l’estremismo religioso. Al termine dell’interrogatorio, il leader del gruppo è stato minacciato di ricevere una denuncia penale.
Dopo una lunga discussione con la polizia, l’offerta è stata quella di chiudere il caso, ma solo a seguito del pagamento di una somma di 3000 dollari (circa 2.700 euro). Pare quindi si tratti di una vera e propria richiesta di tangente per far cadere il caso.
Stiamo parlando di una realtà quotidiana per i credenti che vivono in alcuni dei paesi dell’Asia centrale, sfruttati da chi ricopre ruoli di potere per ottenere un guadagno economico. Chiediamo di pregare per i cristiani nella regione, affinché abbiano saggezza e non diano occasione a chi è corrotto di approfittare di loro.
Quello della persecuzione digitale è un fenomeno in crescita, specialmente in Asia, dove le autorità utilizzano sofisticate tecnologie per monitorare le chiese e le attività cristiane: le e-mail e i profili social possono essere bloccati, gli spostamenti tracciati e i credenti arrestati per attività illegali.•